Nel film di Riccardo Milani la storia vera di Ovidio Marras, simbolo di una Sardegna autentica che difende la propria identità e sogna un turismo che ascolta, non consuma
Un mare dai colori impossibili: turchese, smeraldo, bianco. In autunno torna a essere se stesso, senza ombrelloni né voci, solo pastori, sabbia, rocce e maestrale. È il mare di Tuerredda, una delle spiagge più iconiche del Sud Sardegna, che in estate accoglie un numero limitato di visitatori — 1.100 al giorno — per proteggere un ecosistema fragile. Chi arriva qui fuori stagione vive un privilegio raro: il silenzio, la meraviglia, il mare che torna a raccontare la sua verità più antica.
È in questo scenario che Riccardo Milani ha ambientato La vita va così, film prodotto da Medusa e presentato in apertura alla Festa del Cinema di Roma 2025. Con Virginia Raffaele, Aldo Baglio, Diego Abatantuono e Geppi Cucciari, la pellicola racconta la storia di Ovidio Marras, un pastore di Teulada che difende il suo furriadroxiu — l’antico insediamento rurale — dall’avanzata del cemento. Marras diventa così, suo malgrado, un’icona dell’ambientalismo sardo: un uomo ostinato che rifiuta offerte milionarie da un gruppo immobiliare del Nord deciso a costruire un resort “eco-sostenibile”. La sua casa, diceva, “non ha prezzo”.
Milani sceglie di mostrare una Sardegna lontana dai dépliant turistici, spogliata dell’immaginario patinato e mondano, restituendola nella sua essenza più vera: un’isola che chiede rispetto, che invita a riflettere su un altro modo di viaggiare — un turismo che ascolta, non che consuma.
Ma la storia che ispira il film è reale. Nel 2009, proprio nell’area di Tuerredda, la società Sitas, sostenuta da gruppi finanziari, iniziò a costruire un complesso turistico da 140 mila metri cubi di cemento nel cuore della macchia mediterranea. A opporsi fu davvero un pastore: Davide contro Golia. Quando una strada privata venne deviata per favorire i lavori, Marras intraprese una lunga battaglia legale, vinta nel 2016, con il blocco definitivo del progetto.
Pagò però un prezzo altissimo: l’isolamento e l’ostilità del suo stesso paese, dove nacque perfino un comitato “Pro Sitas” in nome dello sviluppo economico. Il Mezzogiorno e i suoi dilemmi: il lavoro o la terra, il futuro o la memoria. Due visioni che ancora oggi faticano a convivere.
Ovidio Marras è morto lo scorso anno, a 86 anni, nella sua casa affacciata sul mare. Poco lontano restano le carcasse dei residence mai terminati, ora all’asta: simboli di un modello finito, in attesa di rinascere attraverso un turismo diverso, consapevole, che non sfrutta ma riconosce valore nell’incontro e nel rispetto.